LA VITA DIFFERENZIATA

AVANTI MARSCH! Scendere precipitosamente dal tran-tran del déjà-vu quotidiano per concedersi una pausa tra barche, aerei, pesci, navi container, lattine di tonno e donzelle abbandonate in mezzo al mare!


Le riflessioni concettuali presenti nelle ultime opere di Gianpaolo Spagnoli si situano in quel breve spazio tra la realtà fisica delle cose e le infinite aperture semantiche date dalla poesia.
Parola quest’ultima - dal greco ποιέω, inventare, creare, e da intendersi nel più ampio senso del termine - che appare oggi quanto mai desueta in un mondo dominato dalla tecno-realtà sempre più interattiva, interconnessa e virtuale, in cui Smartphone, Laptop e tablet conquistano nuovi spazi della nostra esistenza integrandosi sempre più come nuove protesi cibernetiche.
Malgrado gli ovvi vantaggi che un tale sistema di azione-reazione comporta, ne consegue un’iperbolica velocità di ricezione ed elaborazione delle informazioni al fine di una pavloviana risposta in “tempo reale”. Questo meccanismo di feedback immediato “lima” costantemente lo spazio del pensiero, del sogno, dell’immaginazione e della creatività dell’Homo Contemporaneus già alle prese con una crescente omologazione comportamentale vicina ai format. Tutto ciò comporta la perdita di quel “surplus creativo” richiesto per le astrazioni che diventerebbe oggi insostenibile in termini temporali ed economici.
Per contrastare quella “scatola chiusa con lo scotch” che è la vita di oggi, l’unica via è differenziare le emozioni, le visioni, le percezioni, i pensieri e risposte, siano esse emotive o razionali, e questo è il tema dei lavori di Spagnoli: che nascono non a caso dal confronto con i “diari di viaggio” di Matteo Tonoli. L’idea del viaggio come incessante fonte d’ispirazione è presente in molte opere: aeroplani, navi, automobili. Ciò significa che nello spostamento fisico risiede la possibilità di uno straniamento poetico.
La comune sperimentazione visivo-linguistica con Tonoli, ispiratore dei titoli che in realtà sono “micro-poesie” (riduzioni sintetiche di lunghe meditazioni), viene tradotta poi in immagini efficaci da Spagnoli come nel lirico e sorprendente Lindbergh (115 x 125 cm.) – che si rifà al solitario trasvolatore oceanico che per primo volò da New York a Parigi in una temeraria (…per l’epoca) impresa – realizzato con una miniatura di aeroplanino su fondo smaltato blu. Il richiamo al volo come sogno di libertà, come sfida verso nuovi limiti da valicare e nuovi orizzonti da esplorare, fanno di Lindbergh l’opera più intrinsecamente poetica dell’intera mostra. Del resto i lavori di Spagnoli non si prestano a valori prestabiliti: le correlazioni tra le immagini concettuali e le “micro-poesie” dei titoli danno vita a un’infinità di rimandi semantici come in un gioco di scatole cinesi.
Questa stessa aleatoria certezza la ritroviamo nei rapporti umani di Quello che rimane di noi nelle persone con le quali abbiamo incrociato lo sguardo per un attimo (75 x 70 cm.) in cui Spagnoli si confronta con una delle maggiori icone pop della modernità: la casalinga con il carrello della spesa.
Icona sì della modernità già a partire da Supermarket Lady (1969) di Duane Hanson, ma anche icona della banalità che si nasconde nei nostri estemporanei incontri in quei “non–luoghi” – la felice definizione è di Marc Augé - dove andiamo nel tentativo inutile di sfuggire dall’alienazione: “Lo straniero smarrito in un Paese che non conosce – dice Augè - si ritrova soltanto nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio, dei grandi magazzini o delle catene alberghiere”.
In queste “nuove-agorà” (Tonoli) dei centri commerciali la vacuità degli sguardi che si incrociano rivela tutta l’incomunicabilità di una vita consumata nel consumare. Il momento del tempo libero, della diversione e del riposo viene così ricondotto al rapporto produzione-consumo della moderna società industriale. Nulla rimarrà se non l’elenco delle merci acquistate e le ombre di una massa spersonalizzata.
Quasi di segno opposto per l’isolamento in cui si trova la miniatura di Penelope, una donna seduta su uno scoglio su fondo turchese, dove l’attesa è cara a ogni sognatore. Ma l’attesa a cosa è rivolta? E siamo sicuri che si tratti di un’attesa? Oppure, più prosaicamente, si sta godendo indisturbata un ozioso meriggio in pace e tranquillità? La vita va differenziata, istante per istante, con il recupero della fantasia attraverso il medium della poesia e delle sue immagini e suggestioni.
L'infinita bontà degli alberi (90 x 85 cm), una miniatura di omino che legge seduto per terra all’ombra di una pianta su fondo a smalto verde, induce pur nella sua sublime spensieratezza a una profonda riflessione: il libro ha uno stretto legame con l’albero, essendo un prodotto cartaceo da esso ricavato. Del resto il “libro” è anche la parte interna del tronco sotto la corteccia in cui i vasi trasportano la linfa, il nutrimento sintetizzato dalle foglie a ogni parte dell’albero. Il libro è la linfa e il nutrimento dell’intelletto, del sapere circolare, della speculazione e dell’astrazione e, in ultima analisi, del pensiero dell’uomo. Se in passato la cartapecora, di origine animale e costosissima, non permetteva la circolazione dei manoscritti se non a una ristretta cerchia, dobbiamo agli alberi unitamente a Gutemberg la diffusione della cultura: da un materiale così intrinsecamente naturale si è evoluto il pensiero astratto-scientifico della nostra civiltà.
Ancora il tema del libro in un omino in mare con il capo rivolto al cielo assorto nella lettura nei pressi di un barcone capovolto, di cui il titolo, Le nuvole nelle quali proiettiamo i nostri sogni (100 x 100 cm), riflette come il nostro pensiero sia un pensiero in divenire che cambia con il nostro mutare. Un testo a distanza di tempo assume connotati emotivi e immaginifici imprevisti e diversi. Le pagine che sfogliamo sono come nuvole bianche che passano nel cielo: ma le nuvole sono cose transitorie ed effimere, come appunto i nostri i sogni.
Spagnoli stesso dà un’altra personalissima interpretazione: nell’omino che legge, vero prototipo del lettore, è da riconoscersi lo stesso Tonoli per la sua influenza poetica.
Ancora la scrittura, come del resto la poesia, è al centro dell’opera più drammaticamente intensa: Il momento in cui la penna finisce l'inchiostro (75 x 75 cm), un uccello invischiato in un fondo a smalto nero petrolio. Una metafora giocata partendo da un’immagine altamente riconoscibile dalla memoria collettiva; attraverso i media essa è il simbolo di quel “pathos universale” che identifica i recenti disastri ambientali.
Malgrado gli intenti delle nostre società istituzionali e dei governi di porre rimedio con incontri, accordi e sanzioni, la possibile soluzione viene tuttora demandata al solo inchiostro delle dichiarazioni finali dei summit in luogo di una vera azione concretamente risolutiva. Ma quando l’inchiostro delle parole e degli intenti sarà finito, non ci sarà più spazio per la teoria e sarà forse troppo tardi. Non ci sarà più nulla da fare dopo il mare nero d’inchiostro versato, e questo è il momento colto nell’opera di Spagnoli. E il nero, appunto, è qui il colore di un pessimismo consapevole.
Da ultimo, davanti a tanta insondabile disperazione, le parole del Principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij risuonano come un’unica possibile consolazione: “La bellezza salverà il mondo”.
Attraverso la poesia.

Enrico Padovani

MICROCOSMI

Nel cammino della nostra esistenza prestiamo attenzione alle piccole cose apparentemente insignificanti? Quante volte ci soffermiamo ad osservare e a ridefinire l'infinitamente piccolo?
Spagnoli do it better.
Le immagini della nuova cosmogonia di Gianpaolo Spagnoli si richiamano direttamente alle forme della natura e della biologia:
le cellule, i microbi, i virus e i suoi processi di riproduzione e divisione sono il punto di partenza di una ricerca che non è di tipo analitico scientifico ma formale ed estetico.
Quest'ultimo termine viene elaborato in una doppia accezione: nell'attuale senso di "bellezza artistica" e in secondo luogo risalendo fino all'etimo greco αἴσθησις, dove l'estetica è la percezione della vita attraverso i sensi in netta opposizione all'an-estetico, la negazione della sensorialità e quindi della vita.
E proprio l'eterna contraddizione tra vita e la morte sembra essere il punto focale di un discorso incentrato sulle forme microscopiche siano esse benefiche o malefiche.
Nelle superfici uniformi, traslucide fluttuano le forme biomorfe circolari e oblunghe ispirate alle fotografie scientifiche del mondo mono e pluricellulare.
Questa ricerca ha illustri precedenti storici e si iscrive nel novero della tendenza biomorfa che ha segnato una parte dell'arte del Novecento e di cui il grande padre è Wassily Kandinsky. Le sue forme astratte si rifacevano nella loro indeterminazione alla musica e alle note (Spagnoli è anche musicista, un caso?) formando delle figure che sembravano amebe ingrandite su vetrini con l'ausilio di rudimentali microscopi.
Ora agli inizi del XXI secolo la percezione della realtà non passa più attraverso queste obsolete strumentazioni: nella visione dell'artista agisce quel "filtro tecnologico" che è ormai alla base della rappresentazione della nostra civiltà. Le immagini sono ispirate alle fotografie digitali al microscopio, come il titolo di una serie di opere esposte in mostra ben illustra.
Dunque Spagnoli conferisce alla sua ricerca quella "quota di sorvolo" di vichiana memoria, dove ogni fenomeno si ripete in una spriale temporale ma con presupposti sempre nuovi e aggiornati. Ora l'occhio dell'artista sembra posarsi sulla lente di un potente microscopio tecnologico, in piena sintonia con il nostro tempo.
Infatti le immagini virtuali e digitali ci vengono restituite con una "lucidità di visione", una iper-oggettività da far sembrare talvolta i dipinti di Spagnoli più fotografici della fotografia, più reali della realtà, quasi l'artista avesse intrapreso quel viaggio fantascientifico viaggio descritto nel film e nel romanzo Fantastic Vojage di Isaac Asimov, dove un equipaggio di scienziati in un sommergibile miniaturizzato viene iniettato nel corpo di Jan Benes.
Allo stesso modo nelle opere l'artista sembra aggirarsi attraverso cellule, filamenti, tessuti, virus e globuli, fluttuando e osservando l'organismo con la stessa curiosità dell'equipaggio del sommergibile.
In questo girovagare incontriamo un'opera dall'inquietante titolo di Virus, che ci riporta però alla realtà dell'esistenza: quasi a ricordarci che dietro a quelle forme biologiche si potrebbero nascondere agenti virali antagonisti alla specie umana. Del resto i continui allarmi lanciati contro le varie influenze provenienti dai quattro angoli del mondo, dalla SARS all'aviaria fino alla più recente A/H1N1, la tematica dei virus e delle epidemie sembra essere ritornata, dopo la grande diffusione medievale, l'inconscia paura collettiva di un mondo sempre più sterilizzato e automatizzato, non più abituato a convivere (o a soccombere) con esse.
Infatti in Hiv, Spagnoli affronta il delicato tema della "nuova peste" di fine millennio sottilmente esorcizzata dai moderni cocktail di farmaci: questa riflessione vuole indurci a una nuova consapevolezza sociale sulla malattia.
Accanto a questo tema l'artista sembra muoversi in direzione opposta in Mitosi: il processo di riproduzione di una cellula eucariote attraverso la sua scissione in due cellule identiche richiama alla primigenia rappresentazione della vita e dei processi vitali e della loro intrinseca "bellezza".
Cromosony/antropology invece è un arcano e oscuro omaggio alla musica di Charlie Parker, jazzista considerato uno dei padri del jazz bepop.
in Gene uno, gene due, gene, gene tre il titolo allude chiaramente alla presenza di tre cellule con un filamento organico mentre in Raptus avviene l'incontro-scontro tra due particelle dando vita a una vera e propria esplosione molecolare. I processi della vita diventano così un fatto estetico da ammirare e da rielaborare: infatti tendiamo ad escludere le cose di cui conosciamo l'esistenza ma che non percepiamo durante la nostra qotidianità.
In "CCL (Cellular Colture Laboratory)" l'effetto di spugnosità celebrale delle cellule che si dispongono in massa paiono coltivate sulla piastrina in omologia con la tavola, dove la levigatezza del fondo ha una resa quasi vetrosa, così come in Flu-cellulare, dove nel titolo si ironizza sull'abitudine smodata di usare il telefonino e sulle sue implicazione sanitarie.
La ricerca artistica e formale partendo dalla biologia si muove concettalmente in direzione dell'antagonismo vita-morte e sul suo continuo rinnovamente presente nel mondo microcellulare, due aspetti che sono una realtà contigua e interdipendendente quasi speculare nella trattazione dell'artista, quasi senza una differenziazione.
E quale più forte contrasto tra la perfezione di questi virus, di queste influenze, e di questi morbi e il loro terribile significato per la nostra società? E che il loro spostamento semantico in direzione dell'estetica non sia un modo, in ultima analisi, per esorcizzarli?